Ci sono posti in grado di donare un senso di armonia con il mondo intero.
Quì nella nostra terra ce ne son tanti, spesso abbandonati, poco conosciuti e avvolti da un disarmante silenzio.
Oggi ve ne mostro uno: un posto dove l'uomo è intervenuto sulla natura con prepotenza per offrire un servizio in più, tramite finanziamenti pubblici, una diga artificiale. Quel luogo è l’invaso Pappadai, la più grande opera pubblica del mezzogiorno del dopoguerra, completamente abbandonata a sé stessa e mai utilizzata per lo scopo della sua progettazione.
La grande diga Pappadai, sorge sull’incrocio della strada provinciale Grottaglie- San Marzano- Fragagnano- Carosino, nel territorio di Monteparano. Il nome deriva dalla fam. Pappadà, che fu tra le famiglie feudatarie della zona.
Il bacino idrico è stato progettato per contenere 20 milioni di metri cubi d’acqua che sarebbero dovuti essere prelevati in Basilicata. Sono stati spesi circa 250 milioni di euro di denaro pubblico. Soldi di contribuenti sprecati per un’opera mai utilizzata.
Doveva servire ad irrigare 7.200 ettari di terra del Salento e del tarantino, che però di acqua non ne hanno visto.
I lavori, di quello che doveva diventare un sistema per l’irrigazione di un vasto territorio del Salento e del Tarantino, iniziarono nel 1984. Quello che però mancò all’invaso Pappadai fu un elemento indispensabile: non si trovò mai l’acqua con cui riempirlo. Quando i lavori vennero affidati al consorzio di bonifica dell’Arneo di Nardò, non si era ancora deciso da dove sarebbe arrivata l’acqua.
Attraverso un impianto di tubature si sarebbero dovute irrigare circa 7.200 ettari di campagne nelle zone di San Pancrazio, Salice, Guagnano, San Donaci, Nardò e Veglie.
L’ipotesi che si era fatta strada era quella di farla arrivare da un invaso sul monte Cotugno nella vicina Basilicata ma gli accordi che regolavano le concessioni d’acqua tra le due Regioni, sottoscritti nel 1999 e validi fino al 2015, non contemplavano questa possibilità.
In mancanza di alternativa, l’invaso Pappadai non trovò mai una fonte d’acqua che potesse farlo funzionare correttamente.
Oltre all’irreparabile spreco di denaro pubblico che la costruzione dell’invaso ha comportato, bisogna considerare quello ambientale: la diga è facilmente esposta all’inciviltà umana, non essendo abbastanza vigilato. Capita spesso di imbattersi in rifiuti di varia entità.
Di contro, la natura si è ripresa ciò che è stato suo ed ha donato al luogo una fauna ed una flora del tutto caratteristiche.
Attraversando la via che costeggia l’invaso, ad occhi inesperti, potrebbe apparire come un lago naturale.
Frontalmente ho scovato una piccola masseria abbandonata, che rende il posto ancora più suggestivo.
Ph. by Antonella Nitto |