In secoli di oppressione, subordinazione, obbedienza, le donne hanno sempre cercato il modo di ritagliarsi e conquistarsi il loro ruolo sociale ed identitario.
Non è mai stata facile la vita della donna, in molte culture non lo è ancora oggi.
Oggi, in occasione della festa a noi dedicate, voglio ricostruire due immaginari di donne che appartengono alla cultura meridionale italiana, che ho voluto chiamare provocatoriamente le TARANTATE e le BRIGANTESSE.
Un comune denominatore accomuna le due categorie: spirito di ribellione, spiccata voglia di libertà e di svincolarsi da strutture rigide e ben definite dei loro tempi.
Le donne, ove siano oppresse dalla tremenda violenza delle regole patriarcali, covano ovviamente profondi malesseri, che spesso sfociano in gravi stati di depressione e inerzia, oppure possono esplodere in terribili disperazioni. I maschi di ogni epoca hanno dato la colpa di ciò all’utero, non certo alle alienanti condizioni in cui hanno sempre costretto le loro compagne. Da cui il termine “isteria”, cioè sindrome che viene dall’utero. In epoca vittoriana le donne che si ribellavano emotivamente, o che avevano la forza di esprimere un dissenso, venivano spedite in manicomio dai premurosi mariti e padri, e lì spesso dovevano subire l’asportazione dell’utero.
In questa antica terra le donne seppero trovare una via d’uscita alla pazzia verso cui le spingeva l’oppressione dando vita, fin dal pre-medioevo, al mito delle “tarantolate” (che da lì si estese a tutto il Sud), cioè del pizzico velenoso di un mitico ragno che induceva uno stato di tristezza o di rabbia. Una “sindrome” a cui la saggezza popolare e femminile aveva trovato una cura in un complesso rito incentrato su una musica ritmica e in crescendo che riusciva a ridestare le donne catatoniche, o a incanalarne la furia ribelle, tramite una lunga danza senza remore, veri psicodrammi pieni di visioni e di rappresentazioni catartiche dei propri demoni - che alla fine le lasciava esauste, in un bagno di sudore, finalmente liberate dal “veleno del ragno”.
Il tarantismo manifesta soprattutto uno sfogo di sopravvivenza dai condizionamenti di una società rigidamente patriarcale, che riservava alle donne solo sfruttamento, nella preclusione di ogni libertà e dell’eros.
La donna che si trasforma in ragno, la sfida femminile nei confronti dell’ordine, e del divino usato a scopo repressivo, che libera l’elemento del soprannaturale nella musica e nell’arte.
Poi, con l’allentarsi della morsa dell’oppressione, la pratica originaria è quasi scomparsa: le ultime vere tarantolate che si ricordino risalgono agli anni Sessanta del Novecento. L’eredità culturale e musicale che ne è rimasta è oggi rappresentata dalla “pizzica”.
Spirito ribelle più consapevole, stimolato anche dal ruolo dei compagni di vita e dalla comune necessità di fronteggiare insieme il nemico, caratterizza il personaggio della BRIGANTESSA.
Generalmente, quando si parla di brigantaggio, ci si riferisce solo al periodo storico post unitario. Invece bisogna andare indietro nel tempo, al periodo francese. Furono i Francesi, infatti, ad introdurre in Italia, agli inizi dell’Ottocento il termine brigant, ossia brigante, che sembrò più adatto di bandito, per indicare quelle figure che sembravano prodotte da un incrocio fra i mercenari delle antiche compagnie di ventura ed i criminali comuni.
Nel periodo post unitario (il decennio 1860-70), in cui il fenomeno del brigantaggio identificava i difensori della terra del sud contro l’annessione forzata alla terra di Piemonte, le brigantesse sono passate alla storia perché, guidate dal solo istinto, hanno cercato di difendere la propria dignità di donna, i propri affetti ed il proprio diritto alla sopravvivenza.
Sono stati scritti molti libri sul brigantaggio, pochi parlano delle donne dei briganti. Donne coraggiose condotte, dalla sorte a vivere l’esperienza del brigantaggio meridionale, nell’intento comune di difendere la propria terra diventando eroine, nuove amazzoni. Il brigantaggio femminile è stato un fenomeno psicologicamente autonomo collaterale e distinto rispetto al brigantaggio maschile, anche se, per ovvi motivi, incorporato ad esso una prima ribellione femminista allo stato soggezione atavico e tradizionale della donna delle province meridionali d’Italia.
Le donne dei Briganti, hanno fiutato sin da subito la necessità di unirsi ai propri uomini per difendere la libertà di una terra usurpata dalle proprie ricchezze ed annessa con la forza al regno di Piemonte in nome di un’ unità nazionale che non ha risparmiato sacrifici di vite umane.
Le donne, anche e soprattutto in periodi in cui non potevano rendersi protagoniste di rivoluzioni storiche, politiche ed emozionali, hanno con ancora più coraggio e forza cercato di rivendicare il proprio ruolo nel mondo.
A loro dobbiamo il nostro essere DONNE di oggi, sempre più energiche, autonome, spiriti indipendenti. Donne moderne con la fragilità di ogni epoca, il bisogno di rispetto, stima e di AMORE. In quello siamo rimaste invariate.
Non è mai stata facile la vita della donna, in molte culture non lo è ancora oggi.
Oggi, in occasione della festa a noi dedicate, voglio ricostruire due immaginari di donne che appartengono alla cultura meridionale italiana, che ho voluto chiamare provocatoriamente le TARANTATE e le BRIGANTESSE.
Un comune denominatore accomuna le due categorie: spirito di ribellione, spiccata voglia di libertà e di svincolarsi da strutture rigide e ben definite dei loro tempi.
Le donne, ove siano oppresse dalla tremenda violenza delle regole patriarcali, covano ovviamente profondi malesseri, che spesso sfociano in gravi stati di depressione e inerzia, oppure possono esplodere in terribili disperazioni. I maschi di ogni epoca hanno dato la colpa di ciò all’utero, non certo alle alienanti condizioni in cui hanno sempre costretto le loro compagne. Da cui il termine “isteria”, cioè sindrome che viene dall’utero. In epoca vittoriana le donne che si ribellavano emotivamente, o che avevano la forza di esprimere un dissenso, venivano spedite in manicomio dai premurosi mariti e padri, e lì spesso dovevano subire l’asportazione dell’utero.
In questa antica terra le donne seppero trovare una via d’uscita alla pazzia verso cui le spingeva l’oppressione dando vita, fin dal pre-medioevo, al mito delle “tarantolate” (che da lì si estese a tutto il Sud), cioè del pizzico velenoso di un mitico ragno che induceva uno stato di tristezza o di rabbia. Una “sindrome” a cui la saggezza popolare e femminile aveva trovato una cura in un complesso rito incentrato su una musica ritmica e in crescendo che riusciva a ridestare le donne catatoniche, o a incanalarne la furia ribelle, tramite una lunga danza senza remore, veri psicodrammi pieni di visioni e di rappresentazioni catartiche dei propri demoni - che alla fine le lasciava esauste, in un bagno di sudore, finalmente liberate dal “veleno del ragno”.
Il tarantismo manifesta soprattutto uno sfogo di sopravvivenza dai condizionamenti di una società rigidamente patriarcale, che riservava alle donne solo sfruttamento, nella preclusione di ogni libertà e dell’eros.
La donna che si trasforma in ragno, la sfida femminile nei confronti dell’ordine, e del divino usato a scopo repressivo, che libera l’elemento del soprannaturale nella musica e nell’arte.
Poi, con l’allentarsi della morsa dell’oppressione, la pratica originaria è quasi scomparsa: le ultime vere tarantolate che si ricordino risalgono agli anni Sessanta del Novecento. L’eredità culturale e musicale che ne è rimasta è oggi rappresentata dalla “pizzica”.
Spirito ribelle più consapevole, stimolato anche dal ruolo dei compagni di vita e dalla comune necessità di fronteggiare insieme il nemico, caratterizza il personaggio della BRIGANTESSA.
Generalmente, quando si parla di brigantaggio, ci si riferisce solo al periodo storico post unitario. Invece bisogna andare indietro nel tempo, al periodo francese. Furono i Francesi, infatti, ad introdurre in Italia, agli inizi dell’Ottocento il termine brigant, ossia brigante, che sembrò più adatto di bandito, per indicare quelle figure che sembravano prodotte da un incrocio fra i mercenari delle antiche compagnie di ventura ed i criminali comuni.
Nel periodo post unitario (il decennio 1860-70), in cui il fenomeno del brigantaggio identificava i difensori della terra del sud contro l’annessione forzata alla terra di Piemonte, le brigantesse sono passate alla storia perché, guidate dal solo istinto, hanno cercato di difendere la propria dignità di donna, i propri affetti ed il proprio diritto alla sopravvivenza.
Sono stati scritti molti libri sul brigantaggio, pochi parlano delle donne dei briganti. Donne coraggiose condotte, dalla sorte a vivere l’esperienza del brigantaggio meridionale, nell’intento comune di difendere la propria terra diventando eroine, nuove amazzoni. Il brigantaggio femminile è stato un fenomeno psicologicamente autonomo collaterale e distinto rispetto al brigantaggio maschile, anche se, per ovvi motivi, incorporato ad esso una prima ribellione femminista allo stato soggezione atavico e tradizionale della donna delle province meridionali d’Italia.
Le donne dei Briganti, hanno fiutato sin da subito la necessità di unirsi ai propri uomini per difendere la libertà di una terra usurpata dalle proprie ricchezze ed annessa con la forza al regno di Piemonte in nome di un’ unità nazionale che non ha risparmiato sacrifici di vite umane.
Le donne, anche e soprattutto in periodi in cui non potevano rendersi protagoniste di rivoluzioni storiche, politiche ed emozionali, hanno con ancora più coraggio e forza cercato di rivendicare il proprio ruolo nel mondo.
A loro dobbiamo il nostro essere DONNE di oggi, sempre più energiche, autonome, spiriti indipendenti. Donne moderne con la fragilità di ogni epoca, il bisogno di rispetto, stima e di AMORE. In quello siamo rimaste invariate.
Fotografie dal web.